MASSIMO TROISI


Massimo Troisi (San Giorgio a Cremano, 19 febbraio 1953 – Roma, 4 giugno 1994) è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano, ricordato soprattutto per essere stato l'esponente della nuova comicità napoletana (portata alla ribalta dal gruppo teatrale La Smorfia nella seconda metà degli anni settanta), assieme a Lello Arena ed Enzo Decaro.

Nel 1996 fu candidato ai premi Oscar come miglior attore e miglior sceneggiatura non originale per il film Il postino. Scomparve prematuramente, a quarantuno anni, per un fatale attacco cardiaco, conseguente a febbri reumatiche[1] di cui soffriva sin dall'età di dodici anni.

Da una classifica stilata dalla federazione italiana psicologi nel 1997, Massimo Troisi risultava essere un mito per la maggior parte dei giovani.[2]

 

I primi anni in teatro

Troisi cominciò la sua carriera di attore, dal 1969, nel teatro parrocchiale della Chiesa di Sant'Anna insieme ad alcuni amici d'infanzia (tra cui Lello Arena, Nico Mucci, Valeria Pezza)[5]. Successivamente il gruppo affitterà un garage in via San Giorgio Vecchio, 31 che verrà chiamato Centro Teatro Spazio, dove verranno rappresentati diversi spettacoli in stile pulcinellesco, al quale si aggiunge una commedia scritta dallo stesso Troisi: Si chiama Stellina[5]. Al gruppo si aggiungerà successivamente anche Vincenzo Purcaro, che più tardi cambierà il suo cognome in Decaro[5].

Dopo il ritorno di Troisi dagli Stati Uniti, dove si era recato per l'intervento chirurgico, il gruppo del Centro Teatro Spazio si assottiglia e nasce quello de I Saraceni che, oltre all'attore napoletano, comprende anche Enzo Decaro e Lello Arena[5]. In seguito il gruppo cambierà definitivamente nome in La Smorfia, voluto proprio dallo stesso Troisi in quanto « è un riferimento, tipicamente napoletano, a un certo modo di risolvere i propri guai: giocando al Lotto, e sperando in un terno secco... la "smorfia", infatti, non è altro che l'interpretazione dei sogni e dei vari fatti quotidiani, da tradurre in numeri da giocare a lotto»[7].

Dopo alcuni spettacoli al Teatro Sancarluccio di Napoli, il gruppo ha un rapido successo che gli consente di approdare prima al cabaret romano La Chanson e ad altri spettacoli comici in tutta Italia, poi alla trasmissione radiofonica Cordialmente insieme, ed infine in televisione, dove il trio partecipa ad alcuni programmi tra i quali Non stop (1977), La sberla (1978) e Luna Park (1979). L'ultimo spettacolo teatrale del trio è Così è (se vi piace), citazione del Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello[5].

Il successo al cinema

Dopo aver lasciato la Smorfia, Troisi decise di intraprendere la carriera cinematografica. Mauro Berardi gli propose un film di Luigi Magni, "'O Re", dedicato a re Francesco II di Borbone, che lui però rifiutò in favore di Ricomincio da tre, pellicola nella quale debuttò sia come attore che come sceneggiatore e regista[8]. Il film, acclamato dalla critica, consentì a Troisi di ottenere due Nastri d'Argento per il miglior regista esordiente e per il miglior soggetto e due David di Donatello per il miglior film e per il miglior attore.

Troisi con Lello Arena in Scusate il ritardo

L'anno seguente accettò di dirigere uno speciale televisivo trasmesso da Rai Tre per la serie Che fai, ridi?, dedicato ai nuovi comici italiani di inizio anni ottanta, Morto Troisi, viva Troisi!, con Marco Messeri, Roberto Benigni, Lello Arena e Carlo Verdone[9].

Sempre nel 1982, tornò a recitare al fianco di Lello Arena nel film No grazie, il caffè mi rende nervoso, nel quale un fanatico ed invasato difensore delle tradizioni napoletane (pizza, sole e mandolino), cercando in tutti i modi di impedire lo svolgimento del "Primo Festival Nuova Napoli", simbolo della novità usurpatrice della tradizione, finisce col provocare la morte di Troisi, in un vicolo, dentro un organetto e con la pizza in bocca. Di questo film sono da ricordare in particolare i monologhi di Troisi nell'albergo, al commissariato e dal giornalaio.

La successiva tappa della carriera cinematografica è del 1983, con Scusate il ritardo, nel quale il protagonista è simile nei caratteri al Gaetanodel film precedente, ma più timido e impacciato; è incapace di consolare un suo amico in crisi affettiva ma è a sua volta incapace di amare la sua donna. Il titolo del film è un riferimento sia al troppo tempo trascorso dal film precedente, del 1981, sia ai diversi tempi dell'amore e alla non sincronia dei rapporti di coppia[10].

Troisi con Paolo Bonacelli e Roberto Benigni in Non ci resta che piangere

Altro grande successo di pubblico (ma non di critica) lo ottenne nel 1984 con Non ci resta che piangere, unico film a fianco di Roberto Benigni, da lui molto lontano per lingua e gestualità. Il film - basato su una trama elementare - è ricco di citazioni storiche e rimane comunque nell'immaginario collettivo per le invenzioni e le gag di Troisi e Benigni. Mario (Troisi) e Saverio (Benigni), trovato chiuso un passaggio a livello, passano la notte in una locanda, ma la mattina scoprono di essersi risvegliati a "Frittole", nel 1492. Devono adeguarsi alla vita dell'epoca pur sperando di rientrare nel loro mondo. Fra le tante gag è da menzionare la scena della scrittura di una lettera a Girolamo Savonarola, chiara citazione dell'analoga scena interpretata da Totò e Peppino De Filippo in Totò, Peppino e... la malafemmina.

Inoltre, nel 1986 Troisi ebbe un piccolo ruolo nel film diretto da Cinzia Torrini, Hotel Colonial, girato in Colombia, nel quale tenta la carta del cast internazionale. Troisi interpreta un traghettatore napoletano emigrato in Sudamerica che aiuta il protagonista nella ricerca del fratello.

Nel 1987 fu attore e regista in Le vie del Signore sono finite, ambientato durante il periodo fascista; interpretò il ruolo di Camillo Pianese, un invalido "psicosomatico", assistito dal fratello Leone (l'inseparabile amico di sempre Marco Messeri), lasciato dalla sua donna e che si trova a consolare un suo amico, malato autentico ed innamorato della stessa donna senza essere ricambiato. Il film vinse il Nastro d'Argento alla migliore sceneggiatura.

Nel triennio seguente collaborò come attore con Ettore Scola in tre film, i primi due con Marcello Mastroianni: Splendor (1988), in cui è proiezionista di un cinema prossimo alla chiusura[11]Che ora è? (1989), sui rapporti conflittuali tra padre e figlio[11], per il quale venne premiato con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, ex aequo con Mastroianni, alla Mostra del Cinema di Venezia; e Il viaggio di Capitan Fracassa (1990), dove interpretò Pulcinella, presentato in anteprima alla 41ª edizione al "Berlin International Film Festival"[12].

L'ultima regia di Troisi, dove è anche sceneggiatore e protagonista, è quella di Pensavo fosse amore, invece era un calesse del 1991, con Francesca Neri e Marco Messeri.

 

l postino e la morte prematura 

  « Ed è stata un'esperienza umana grandissima, perché lui stava male e ha voluto fare questo film a tutti costi: tutti gli dicevano "ma dai, fai il trapianto e poi lo farai", e lui diceva "No, questo film lo voglio fare con il mio cuore". [...] E poi questo film è il suo testamento morale. »
 
(Renato Scarpa su Massimo Troisi[6])
L'abitazione del poeta Pablo Neruda. A detta del padrone dell'abitazione, Pippo Cafarella, fu proprio Troisi a proporre alla produzione questo luogo come set del film.[6]

All'inizio del 1994 Troisi, recatosi ancora una volta negli Stati Uniti per dei controlli cardiaci, apprese di dover sottoporsi con urgenza a un nuovo intervento chirurgico, ma decise di non rimandare le riprese del suo nuovo film[1][13]Il postino (1994), girato a Procida e Salina[14] e diretto daMichael Radford, liberamente tratto dal romanzo Il postino di Neruda di Antonio Skármeta, che tratta dell'amicizia tra un umile portalettere e Pablo Neruda (Philippe Noiret) durante l'esilio del poeta cileno in Italia. Troisi riuscì a terminare le riprese del film con enorme fatica[15][1] e con il cuore stremato, facendosi sostituire in alcune scene da una controfigura[16].

Troisi morì nel sonno, nella casa della sorella Annamaria e in compagnia del suo più grande amico sin dall'infanzia, Alfredo Cozzolino, a Ostia, quartiere marino di Roma, per attacco cardiaco, il 4 giugno 1994, 12 ore dopo aver terminato le riprese de Il postino[17].

Due anni dopo la morte di Troisi, Il postino venne candidato a cinque Premi Oscar (tra cui Troisi come miglior attore, il quarto di sempre a ricevere una nomination per l'Oscar postumo), ma delle cinque nomination si concretizzò solo quella per la migliore colonna sonora (scritta da Luis Bacalov).

La critica

Troisi, nel corso della sua carriera, è stato accolto in maniera favorevole da gran parte della critica cinematografica italiana, ma anche internazionale. Già il suo primo film, Ricomincio da tre, ricevette grandi consensi da parte della critica, con particolare attenzione per lo stesso Troisi, che venne definito a quel tempo come il "salvatore del cinema italiano", allora ritenuto incrisi[18]. Inoltre, già all'uscita di Ricomincio da tre, Troisi venne paragonato a Totò e ad Eduardo de Filippo, paragone che con franchezza egli così commentò:

  « No, a me sembra anche irriverente fare questo paragone. Ma non lo dico per modestia, perché non si fa il paragone con Totò o con Eduardo, questa è gente che è stata trenta-quaranta anni e quindi ci ha lasciato un patrimonio. »
 
(Troisi risponde al paragone[18])

Il secondo film, Scusate il ritardo, è stato definito dalla critica italiana come "l'opera migliore dell'autore partenopeo"[19]. Antonio Tricomi su "Cinemasessanta" del 1983 scrisse: «Ancora una volta Troisi ha saputo cogliere gli umori della sua generazione, passata dalle aperture utopistiche ad un sedentarismo domestico e claustrofobico, dalla foga contestataria fino ad un'insofferenza flebile e diffusa, dai miti della rivoluzione sessuale ad una paralizzante insicurezza nei confronti delle donne»[19]. L'unico insuccesso è il film con Benigni, Non ci resta che piangere, il quale venne accolto tiepidamente dalla critica, nonostante il grandissimo successo al botteghino. Troisi apparve successivamente in Il viaggio di Capitan Fracassa nel ruolo di Pulcinella, personaggio paragonato spesso a Troisi per la comicità, per l'uso del dialetto, ma anche per l'aspetto e il modo di recitare. Roberto Vecchioni, in un'intervista a Vite straordinarie, ha definito Troisi un "Pulcinella moderno"[6].

  « Massimo è Pulcinella senza maschera. A parte che Pulcinella è stato, nel pieno del suo vigore, della sua vita centrale, censurato, e ha operato lo stesso senza maschera. Per me Troisi rappresenta il Pulcinella che porta. Poiché Pulcinelli è stato internazionale, Pulcinella è stato francese, Pulcinella è stato inglese, Pulcinella ha superato il Volturno. Massimo ha fatto la stessa cosa, l'unico napoletano con la napoletanità che ha superato il Volturno, quindi per me rappresenta un'ultima possibilità che abbiamo avuto, da un punto di vista teatrale e cinematografico, di superare, di uscire dallo stereotipo della napoletanità, fine a se stessa. »
 
(Federico Salvatore[20])

Probabilmente il maggiore successo di Troisi è Il postino, il suo ultimo film. L'attore ricevette ottime critiche da moltissimi attori internazionali, tra i quali Sean Connery, che rivelò che gli «avrebbe fatto piacere girare un film con Troisi», e inoltre ottenne anche numerose recensioni favorevoli da giornali americani, come The Washington Times («Il Postino rappresenta quel trionfo internazionale che Troisi sperava di avere e che non ha fatto in tempo a godersi») e anche The New York Times («Troisi dà al suo personaggio una verità e una semplicità che significa tutto»).[21]

La questione della lingua 

Nella sua carriera teatrale e cinematografica, Troisi ha sempre parlato con il suo dialetto napoletano. Il dialetto di Troisi è come una "lingua confidenziale", con la quale l'attore napoletano si sentiva a suo agio.[22] Agli esordi Troisi non ritenne prioritaria la questione della comprensibilità e perciò continuò a parlare unicamente in napoletano.[22]

Nonostante in quel periodo la parlata dell'attore suscitasse immediatamente attenzione nella cinematografia italiana, in quanto gli elementi dialettali venivano proposti con intransigenza ed estremismo[23], Troisi non se ne curò molto e affermò più volte, nel corso di interviste o apparizioni televisive, di saper parlare unicamente il suo dialetto.[22] Ad esempio si ricorda l'intervista per Mixer di Isabella Rossellini, nella quale la giornalista chiese a Troisi «Ma perché parli sempre in napoletano?» ricevendo da quest'ultimo la risposta: «Perché è l'unico modo in cui so parlare».[24] In seguito, Troisi ebbe l'urgenza di voler comunicare anche ad un pubblico maggiore e per questo la presenza del dialetto dai suoi film dopo Scusate il ritardo si affievolisce[22] Troisi, quindi, realizza una lingua "italiana popolare", ma comunque ricca di venature dialettali.[22].

 

(fonte wikipedia)